La voce della tramontana (1942)

Pubblicato su «Primato», n. 21, novembre 1942, con lo pseudonimo di Dionisio, nella rubrica “L’orecchio” dedicata a ritratti delle situazioni letterarie nelle varie città italiane, il testo è stato ripubblicato nella terza edizione ampliata della Tramontana a Porta Sole, coedizione Fondo Walter Binni e Morlacchi Editore, Perugia, 2007.

La voce della tramontana

Perugia, novembre 1942

Piú che da echi di conversazioni letterarie, da indiscrezioni di progetti e di libri, l’orecchio qui è colpito dalla voce pazza e terribile della tramontana che impera per un lungo inverno e non tralascia di fare rapide apparizioni anche nei brevi termini di un’estrosa primavera e di un autunno virile e pensoso. La tramontana è certo qui il personaggio piú illustre e piú eterno, eppure, come tutti i perugini che vogliono consolare con la loro presenza la vita della città, fa anch’essa la sua passeggiata di gran carriera per il Corso, la via che congiunge i due punti piú celebri di Perugia: la balaustra sul mare della valle umbra e la piazza dove si fronteggiano il palazzo dei Priori e la Fontana dei Pisano. La tramontana nasce da Porta Sole, il luogo di piú intensa offerta del paesaggio, il compenso piú prelibato per chi, ristucco dei facili entusiasmi carducciani, disdegnoso torce il muso di fronte alle decine e decine di chilometri di panorama che si aprono a commento perpetuo del Canto dell’amore. Poi da Porta Sole si precipita verso il Corso e viene a portare ai piú oziosi passeggianti la parola ferma e persuasa della campana municipale, il gelo e l’impeto degli edifizi di pietra della vecchia acropoli etrusca. Nella voce di questo vento si è sfatto il profumo segreto di una misteriosa vita di godimenti e di culti esoterici e supplisce quel cielo intenso, pieno di fulmini di saviniana memoria che resta a simbolo di una collaborazione naturale con la mistica pietà etrusca nelle vecchie cittadine della maremma.

Qui tutto è passato nell’aria che ravviva, oltre i resti dei monumenti etruschi, una presenza che supera uomini e vicende. Mentre di lontano, nella vallata, vicino al Tevere, sotto una specie di buffo casotto ferroviario, s’apre quel piccolo averno di perfetta bellezza che è l’Ipogeo dei Volumni a testimoniare una civiltà che rende vibrante e intensa ogni nostra placidità rinascimentale: un trionfo e una morte che ci ricordano una vita seria e disillusa, conscia di un limite e ambiguamente sorridente, tesa al mistero che custodiva con ingordigia in ogni atto affermativo, proprio come possibili angui medusei si trasformavano in grossi riccioli sul volto dei loro angeli della morte.

Su a Porta Sole porteremmo i visitatori piú degni, gelosi come siamo di questa città di eccezione dove vivere è insomma un privilegio che bisogna nascondere agli altri e a se stessi, al proprio bisogno di agio, di società letteraria, di un’aria meno tesa, piú quotidiana. Quassú dalle gobbe nude di Monte Tezio agli orti urbani, dalla catena dei monti di Gubbio spezzati nel loro ritmo con un varco a lontananze sublimi al vago disegno dei pini di Monte Pecoraro, il paesaggio è in movimento, mutevole: selvaggio ed educato, ma con un tono fondamentale di concretezza assorta che si riflette nel disegno di vicoli, piazzette ed edifici in un provvidenziale gioco di equilibri architettonici che ci sorregge alle spalle, dalla città.

Quassú abitava qualche anno fa Gianfranco Contini (che ancora ogni tanto cerca l’occasione di nominare Perugia come uno dei luoghi della sua fantasia e del suo cuore) e ci piaceva vederlo incalzato dal suo demone su per queste viuzze e scalinate che sembrano fatte apposta per lui. Allora c’era e veniva altra gente di lettere e le discussioni letterarie e artistiche potevano piú abbondantemente arrivare fin quassú anche se in un’aria sempre distaccata e disinteressata. Non mancava una visita di Montale o di C.E. Gadda, di Morra o di Pancrazi.

Ora la solitudine perugina è piú intatta e la vita dei pochi rappresentanti locali della ecclesia letteraria e artistica italiana è scandita sui propri pensieri, libera dai contatti socievoli di altre città.

A parte coloro che nelle due Università e nelle altre scuole alternano l’insegnamento con dotte conferenze e pubblicazioni, gruppi di letterati e artisti (almeno per un devoto delle Regie Poste letterarie di Prospettive) non ci sono. Piuttosto cultori di studi filosofici che offrono ogni tanto il piacere di una discussione e il piatto forte di una conferenza di qualche filosofo che arriva dalle capitali a riscaldarci gli umori speculativi: cosí tempo fa abbiamo avuto di fronte il volto sorridente e confidente di Ugo Spirito che ci esponeva la sua ricerca, l’ansia, ma quanto in fondo serena!, di chi esamina con la sua sottile intelligenza una storia di sconfitte del pensiero umano.

Spesso si possono vedere dall’osservatorio mobile del Corso Walter Binni, arruffato e distratto e sempre disposto a parlare di politica, “poetica”, e poesia, con lo scultore Quinto Martini, pronto però a lasciare Perugia per Bologna, che passano per cercare aria di primavera nei viali di circonvallazione. Solitario marcia con ritmo futuristico Gerardo Dottori, solitario passeggia Arturo Checchi con un rappreso ghigno di demone etrusco che nella sua solida pittura si rivela come il presupposto di ogni concretezza toscana. Se si entra nella libreria Simonelli (che invita con l’esposizione di tutte le “novita”) è facile incontrare Aldo Capitini: vi parlerà dei suoi lavori religiosi, o di poesia, di politica e di filosofia, ma vi solleciterà anche a lunghe peregrinazioni sui colli e sulle pianure che circondano la sua Perugia.

Ormai la breve estate si è allontanata e ha avaramente portato con sé i colori vistosi delle vesti femminili, dei grembialini non indigeni di cui aveva fiorito con furia improvvisa di un pagamento di arretrati il Corso e i suoi caffè straripanti dai marciapiedi. Ormai il cronista di questa vita piú poetica che letteraria sente che è meglio abbandonare il suo osservatorio per non dover riacciuffare ogni momento il foglio su cui scrive alla prepotenza della tramontana e per ritornarsene verso climi piú facili, a conversazioni, a segni di una umanità letteraria piú accogliente.

Dionisio